Imbuti da riempire

Mio figlio, che non sente mai niente ma ascolta tutto, l’altra sera a cena mi fa: “Sai che la Ministra della Scuola ha detto che non bisogna trattare gli studenti come imbuti da riempire? Ma gli imbuti non si possono riempire! Che senso ha questa frase?”.

Avevo già letto la frase riportata da diverse testate nonché ripostata dai social, ma non ci avevo fatto caso dando per scontato che la Ministra intendesse “non riempite la testa degli studenti di nozioni come si fa con degli imbuti per le bottiglie”; effettivamente, detta così – se uno, come mio figlio novenne, non sa – questa frase non ha senso. Gli imbuti hanno un buco sotto e non trattengono nulla.

Poi però la mia mente di cuoca è andata a quell’odiosa operazione che faccio con l’imbuto per riciclare l’olio alimentare, ovvero svuotare la padella colma di olio – magari di frittura – in una bottoglia destinata allo smaltimento: non so se vi è mai successo che residui di pangrattato, farina o altro formassero una sorta di tappo occludendo il buco inferiore dell’imbuto, col risultato di dover interrompere l’operazione per togliere il “tappo” o peggio, versando l’olio fuori dall’imbuto e dalla relativa bottiglia. Ebbene, questa casalinga situazione mi ha fatto pensare al processo di apprendimento: se è corretto non equiparare l’apprendimento a un mero trasferimento di nozioni, è altrettanto corretto che per permettere al nuovo di entrare in noi non ci devono essere occlusioni.

Ieri per radio lo speaker della trasmissione che stavo ascoltando ha citato Epitteto dicendo: “È impossibile per un uomo imparare ciò che crede di sapere già”, dove in quel crede si racchiude tutto il ventaglio di possibili ostruzioni del nostro imbuto: pregiudizi, supponenza, egocentrismo, ignoranza. Eh sì, ignoranza. Perchè sebbene l’ignoranza in merito a qualcosa dovrebbe essere il motore che scatena l’apprendimento (non lo so, quindi lo imparo) in molte situazioni è il più grosso freno.

In tanti anni nel campo della formazione degli adulti mi sono accorta di come questo fenomeno sia più diffuso di quanto si pensi, anche tra persone laureate e ben istruite. Perchè l’ignoranza riguardo a un argomento o a una competenza non ci piace, ci fa sentire in qualche modo “indifesi” nei confronti degli altri. Quindi il nostro cervello si aggrappa a quel poco che conosce e che possiamo correlare con l’argomento rendendo quelle scarse informazioni “tutto ciò che devo conoscere in merito”: se ci fosse stato altro di rilevante, l’avrei saputo, no? Questo ci fa sentire bene, in un certo modo sazi di sapere, quindi chiusi all’apprendimento.

Questo purtoppo però non vale solo per le conoscenze o le competenze, ma ci succede di applicare lo stesso principio alla vita e alle relazioni. Creiamo delle routine – la settimana di 5 giorni lavorativi, le vacanze nella casa al mare, il pranzo di Natale coi parenti – che da una parte ci rassicurano nella loro prevedibilità e dall’altro ci impediscono di stupirci. Quindi releghiamo lo stupore agli eventi eccezionali (dalla romantica proposta di matrimonio alla promozione sul lavoro, dalla festa di compleanno a sopresa all’adozione di un cucciolo, e potrei andare avanti per mesi) precludendolo alla vita di tutti di giorni.

Ad esempio, dopo anni di lavoro nella stessa azienda, mi sono accorta che non mi aspettavo dai colleghi più conosciuti niente di più di quello che già sapevo di loro: una conversazione noiosa e dovuta alla macchinetta del caffè, una battuta divertente da quella collega che era sempre spiritosa e allegra, un’occhiataccia da quell’altro a cui probabilmente stavo antipatica.  

Quello che mi ha cambiato completamente la vista (sì, non è un refuso: bisogna imparare anche a vedere) è stato iniziare a “fare il vuoto”: ovvero il vuoto da noi stessi, dalle nostre presunte conoscenze, dai pregiudizi nei confronti degli altri. Sturare l’imbuto. Gli eventi degni del nostro stupore si sono moltiplicati in breve tempo, perchè sono stata capace di vedere cose che prima non vedevo, chiusa in me stessa. Ho imparato cose nuove dall’ultima arrivata, ho visto i miei comportamenti attraverso gli occhi degli altri e ho capito di più di me.

La ricercatrice Cathrine L’Ecuyer, specialista in Pedagogia e Psicologia, ha basato sullo stupore la sua teoria dell’apprendimento[1], dicendo che “La capacità di stupirsi è ciò che spinge il bambino alla scoperta del mondo. E’ la sua motivazione interna, la sua prima sollecitazione naturale”.

Più saranno le occasioni di “fare il vuoto” in noi stessi e di noi stessi, maggiori saranno le situazioni di reale stupore e di apprendimento di qualcosa di utile per noi.

Quindi se è vero che imparare non è rimpirci la testa di informazioni o nozioni usando degli imbuti, possiamo ricordarci noi stessi di essere come gli imbuti, pronti a svuotarci per riempirci e nuovamente svuotarci per accogliere tutto ciò che la vita vuole offrirci.


[1] https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fnhum.2014.00764/full