È il primo giorno dell’anno e anche se di solito i bilanci si fanno in chiusura di anno, ho voluto ritagliarmi del tempo questa mattina per scrivere un po’.
Nei giorni scorsi mi sono arrivati messaggi, ho visto video e canzoni di persone che non vedevano l’ora di far passare questo odiato 2020. Adesso siamo nel 2021, ma io mi sento uguale a ieri. Di certo, però, sono molto diversa dal capodanno di un anno fa.

Gennaio è sempre il mese dei buoni propositi, della definizione di obiettivi, di inizio di nuovi progetti, un mese carico di speranza, sempre. Un anno fa stavo per aprire la mia Partita Iva, mi mettevo in proprio con un grande slancio, passione e voglia di fare. Di sicuro non mi aspettavo di iniziare la mia nuova attività in un anno del genere… Eppure ho lavorato. Non tanto come avrei voluto, con mesi di assoluto silenzio, ma ho lavorato. Ho imparato, ho ascoltato, ho dato.
Ricordo che ad aprile ho sfiorato il picco dello stress: lavorare da casa, i figli in didattica a distanza da seguire, la casa da pulire, il lockdown. Cercavo di sostenere tutti, di ascoltare chi si sentiva abbattuto, spaventato dalla situazione, di incoraggiare chi non pensava di poter gestire un cambiamento così repentino e in cambio mi sentivo svuotare.
Mi è allora venuto in mente ciò che mi disse una persona quando ero ancora una ragazzina: “Come puoi dissetare gli altri se il tuo pozzo è vuoto?”. Da quel momento è nato il cambiamento: ho iniziato a potare. Tagliare dei rami, anche se non secchi, anche se dolorosamente vivi, per fortificarmi. Capire cosa fosse veramente essenziale e smettere di volere il superfluo. Sicuramente alcune potature sono state imposte dalla situazione, dalle misure di contenimento della pandemia; ma le potature forse più dolorose erano quelle che ho imparato io stessa a fare su di me.
A volte quel “di più” da tagliare era fingere di stare bene per dare forza a un altro: ho capito che per diventare più forte avrei dovuto abbracciare la mia debolezza e condividerla, in un dialogo ricco di reciprocità, un “do et des” che potesse rinfrancare entrambi nella relazione.
Ho capito che potare voleva dire anche fare meno, ma con più intenzione: sostituire il devo fare con il voglio fare.
Potare voleva anche dire prendermi cura di me stessa, dedicare del tempo per il mio benessere fisico, riscoprendo un’unitarietà e un’interconnesione profonda fra corpo, cuore e cervello.
Nella seconda metà dell’anno ho così iniziato a raccogliere dei frutti da questa potatura. Piccole cose quotidiane, in mezzo agli errori e alle deviazioni; ma è giusto così: come dice Niccolò Fabi in una bellissima canzone, “Costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione”.
Così la mia valutazione dell’anno non è basata sul raggiungimento o meno degli obiettivi che mi ero data a gennaio scorso, ma su come il percorso che ho fatto nel cercare di raggiungerli mi abbia fatto ottenere altri risultati che non avevo previsto.
Questo per me non vuole dire che mi accontento di quel che ho raggiunto senza puntare “in alto”, ma che spesso nel tenere gli occhi fissi sulla palla si perde di vista il campo. Che non posso buttare via un anno per ciò che non ho fatto o per quel che non ho raggiunto, ma ringraziare per ogni passo che mi ha portato fino a qui. Sarebbe come biasimare Cristoforo Colombo per non aver raggiunto l’India, invece di congratularsi per aver scoperto un nuovo continente.
E così, con piccoli germogli ancora verdi e rami più possenti, sono pronta per il nuovo anno, e auguro un buon cammino anche a voi!
Buon 2021!