Di Goethe, quarantena e limiti

Josef Stieler – Johann Wolfgang von Goethe

Sono passati un po’ di giorni dall’ultimo post e me ne scuso. So che un vero blogger scrive quotidianamente, ma questi ultimi giorni sono stati di forte cambiamento dei normali ritmi casalinghi… e non solo perchè ci troviamo a dividere in 4 la nostra casa 24/7, ognuno con esigenze diverse, ma soprattutto perchè in questi giorni sono diventata ancora più centrale per il mantenimento degli equilibri familiari.

Da una parte, la mia preoccupazione di continuare a lavorare – e come altre persone con P.Iva sto risentendo dello stop nazionale – e dall’altra la gestione di chi guarda a me come un punto di riferimento. I miei figli in primis, per l’aiuto nella didattica a distanza, nella costruzione di attività che li portino un po’ distante dagli schermi, i familiari soli o lontani, mio marito che comunque lavora per le faccende domestiche, la cucina… Ad un certo punto mi sono sentita sopraffare.

E qui mi è venuto in aiuto il vecchio amico Goethe:

Uno non ha che dichiararsi libero, ed ecco che in quello stesso istante si sente limitato. Abbia solo il coraggio di dichiarasi limitato, ed eccolo libero.

Questa direi che è la lezione più importante della mia quarantena: riconoscere e accettare i miei limiti. Accoglierli come parte di me. Accogliere il fatto che non posso essere sempre al 100% delle energie, che certe volte vorrei smettere di cercare materiali di riciclo per i lavoretti di mia figlia e ordinare un prodotto già fatto su Amazon, che non sopporto i capricci di mio figlio ogni santo giorno quando dobbiamo iniziare a fare i compiti, che la cesta con i panni da stirare può aspettarmi piena un giorno ancora… E accettare il fatto che chiedere aiuto non è segno né di debolezza né un modo per scaricare sugli altri le mie responsabilità.

Tante volte mi capita, dato che il mio lavoro è cercare di supportare gli altri nella crescita personale, di pensare di non poter gravare sugli altri anche con le mie esigenze, portandomi – come diceva Goethe – a sentirmi limitata. Limitata nell’espressione della mia stanchezza, della mia voglia di fare qualcosa per me stessa, nelle emozioni.

Riconoscere che anche io “posso” concedermi di non rispondere alle aspettative di tutti in qualsiasi momento mi dà due grandi libertà: la prima è quella di poter lavorare sui miei limiti invece che nasconderli sotto il famigerato tappeto; la seconda è quella di riconoscere lo spazio di “avanzata” delle persone che sono intorno a me: aiutare gli altri significa anche aiutarli ad aiutare a loro volta, trovando modalità di incontro in cui ciascuna delle parti è chiamato a fare un passo nella direzione dell’altro.

In questo momento di limitazione, sia fisica che relazionale, in cui impera il “non poter fare”, la mia libertà è nel saperla accogliere ed accettare per il mio attuale e futuro “poter essere”.

Mascherina sì, mascherina no…

Come l’Euristica della disponibilità e l’Effetto Dunning-Kruger ci stanno influenzando… molto più del Coronavirus.

L’evolversi rapido della diffusione dei contagi di COVID19 nel nostro Paese, oltre che nel resto del mondo, ha fatto sì che le precauzioni sanitarie diventassero prescrizioni.

In poche parole: sabato eravamo in allegria a festeggiare il Carnevale a Venezia, domenica saccheggiavamo le farmacie in cerca di gel disinfettanti e mascherine, lunedì (oggi) tutti tappati in casa.

Cosa ha portato una buona parte della Nazione (principalmente il Nord, visto da dove è partito il contagio) a questo repentino cambio di atteggiamento?

Da un lato i giornalisti, che oramai vivono solo di questa notizia (con buona pace degli incendi in Australia, di Trump e della crisi in Libia) e che fa da volano alle notizie politiche; dall’altro il passaparola, le chat intasatissime, i social.

Questo bombardamento di informazioni al nostro cervello fa scattare quella che i due psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman hanno chiamato nel 1973 “euristica della disponibilità”.

Questa euristica è una scorciatoia mentale che fa sì che le persone siano più portate a dar credito alle informazioni che si richiamano più facilmente alla memoria di altre, considerate quindi meno rilevanti.

Nelle prime indagini di Euristica della disponibilità di Tversky & Kahneman fu chiesto a dei soggetti: “Se una parola casuale è tratta da un testo inglese, è più probabile che la parola inizi con una K, o che K sia la terza lettera?” Il presupposto era che alle persone di lingua inglese sarebbero facilmente venute a mente immediatamente molte parole che iniziano con la lettera “K” (kangaroo, kitchen, kale), mentre ci sarebbe voluto uno sforzo più concentrato per pensare a qualsiasi parola in cui “K” è il terza lettera (acknowledge, ask). I risultati hanno indicato che i partecipanti hanno sovrastimato il numero di parole inizianti con la lettera “K” ed hanno sottovalutato il numero di parole che avevano “K” come terza lettera. Tversky e Kahneman hanno concluso che le persone rispondono a domande come queste confrontando la disponibilità delle due categorie e valutando la facilità con cui possono richiamare queste istanze. In altre parole, è più facile pensare alle parole che iniziano con “K”, più che a parole con “K” come terza lettera. Pertanto, le persone giudicano le parole che iniziano con una “K” come un evento più ricorrente. In realtà, un testo standard inglese contiene il doppio delle parole che hanno “K” come terza lettera rispetto a “K” come prima lettera. Ci sono tre volte più parole con “K” nella terza posizione rispetto alle parole che iniziano con “K”.[i]

Questo a quanto pare vale anche con le immagini, visto che la razzia di mascherine di carta, peraltro più volte indicate come inutili nella difesa contro il virus in oggetto, potrebbe essere stata causata dalle molteplici immagini di persone che le indossavano associate ad articoli o a servizi giornalistici.

Ma non fermiamoci qui: proviamo ad aggiungere all’euristica quello che dal 1999 è noto come “effetto Dunning-Kruger”[ii]. I due psicologi, da cui il nome dell’effetto, hanno condotto una serie di studi sulla capacità di autovalutazione delle persone in merito a determinate conoscenze. Sintetizzando i risultati, le evidenze ci richiamano le parole di Socrate “So di non sapere”: maggiore è la competenza di una persona in un determinato ambito di conoscenza, maggiore è la consapevolezza di quanto ancora ci sia da studiare e approfondire e quindi la sua autovalutazione tenderà a sottostimare l’effettiva competenza. Al contrario, chi meno è esperto del medesimo ambito, tenderà a sovrastimare la sua competenza in quanto all’oscuro di tutte le possibili informazioni aggiuntive.

Quanto ognuno di noi può dirsi virologo/Medico/Epidemiologo? Eppure ciascuno in questi giorni si sarà fatto un’idea e avrà commentato statistiche sulla mortalità del virus, la sua contagiosità, le sue origini; e più ci sentiamo padroni della materia più le informazioni che ci arrivano andranno a confermare (confirmation bias, altro trucchetto del nostro cervello che seleziona le informazioni che vanno a confermare un’idea che reputiamo più vera) ciò che crediamo.

Quindi, cosa fare?

I consigli sono semplici:

  1. Dato che non possiamo essere esperti di tutto, dobbiamo fidarci di persone competenti (medici, virologi) senza supporre che ci stiano per forza nascondendo qualcosa;
  2. Seguire le indicazioni sanitarie di base senza cadere nell’estremismo (come ad esempio ordinare una tuta anti bio-hazard su Internet per andare a lavorare);
  3. Ricordarci che il nostro cervello è efficiente, e vuole fare il minimo sforzo: quindi invece che lasciarlo guidare sulle scorciatoie della mente, fermarsi un attimo e usare la nostra capacità analitica per riportarlo sulla strada – meno economica – della razionalità.

[i]Da WIKIPEDIA: Amos Tversky e Daniel Kahneman, Availability: A heuristic for judging frequency and probability, in Cognitive Psychology, vol. 5, nº 2, 1973, pp. 207–232, DOI:10.1016/0010-0285(73)90033-9ISSN 0010-0285 (WC · ACNP).

[ii] “Unskilled and unaware of it: how difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments.”J Kruger, D Dunning – Journal of personality and social psychology, 1999