L’isolamento e la connessione (anche quando cade la Rete)

In questo periodo, così incredibile e inaspettato, sui vari Social impazzano immagini divertenti che tirano fuori il lato ironico della situazione. Una di quelle che mi piace di più è l’immagine di Igor (tratto da “Frankenstein Junior” – un impareggiabile Marty Feldman) che dice: “Potrebbe andare peggio. Potrebbe non funzionare Internet”.

Quale disgrazia! Internet è diventato prezioso come l’aria: non potremmo più fare smart working, gli houseparty con gli amici, le videochiamate con la nonna, guardare i film e le serie tv in streaming, stalkerare le persone sui Social, ordinare cibo pronto o (ma non funziona comunque) fare la spesa online, aggiornarci sul COVID19 tramite le notifiche push delle app delle testate giornalistiche… Ma se davvero dovesse succedere?

Quando si condivide un appartamento con altre 3 persone, di cui 2 di età inferiore ai 10 anni, la cosa che più manca è il silenzio. Ma di notte, quando tutti dormono, eccolo. E allora la mia mente e il mio cervello trovano spazio per rilassarsi e riflettere, lasciar fluire le emozioni e – come dice la mia app di Yoga preferita – ammorbidire il cuore.

E nell’isolamento e nella solitudine silenziosa ho riscoperto il significato che ha per me la parola “connessione”. Per me, che ho secondo il test di personalità “CliftonStrengths” proprio Connessione come primo e predominante Talento, la domanda che è sorta dopo la prima settimana di reclusione in casa è stata: ma come faccio a connettermi con gli altri se non posso nemmeno stare con loro?

Può l’isolamento essere un ostacolo alla connessione?

No.

Ho capito che l’isolamento che stiamo vivendo tutti – e dico tutti, ormai a livello mondiale – è come il crogiolo per il metallo, che ne esalta la purezza eliminando le scorie. Mi sono resa conto di quanto confondessi la connessione con gli altri con lo stare in mezzo agli altri. Lavoro con te, parlo con lei, esco con loro. Ma siamo davvero connessi?

Creare connessione vuol dire essere in grado di rispondere a un bisogno profondo dell’altra persona in modo tale che nè il tempo nè lo spazio possano in qualche modo intaccarla.

Come fare a capire quale sia questo bisogno? L’isolamento ci viene in aiuto. Nel silenzio, nella solitudine, nella noia, quali domande sorgono in noi? Quali dubbi? Paure? In quei momenti di vulnerabilità capiamo che l’autosufficienza è un mito. Che il “posso fare tutto da solo” è una bufala, che la felicità non è un cammino solitario.

Se lo fosse, saremmo tutti al massimo in questo momento, super performanti e felici.

Magari a volte è così, ma non tutti i giorni e tutto il giorno. Lo vediamo dalle persone che si mettono in coda volontariamente  alle poste pur di parlare con qualcuno (cosa che probabilmente prima odiavano fare), dalle telefonate ad amici che non sentivamo da tanto solo per un saluto e per sapere se “lì da loro” va tutto bene, fino ai flash mob e ad altri momenti comunitari a cui ci aggreghiamo perchè il nostro senso di appartenenza ha fame di connessione.

Io personalmente sto cogliendo questa faticosa opportunità per mettermi in ascolto della mia ed altrui vulnerabilità. In casa, coi bambini super agitati e urlanti, mi chiedo: come stanno vivendo la lontananza forzata dagli amici, dalle loro abitudini, lo sport, le uscite? Come posso accogliere e aiutarli a gestire le loro emozioni? Cosa posso imparare da loro? Cosa posso fare per supportare mio marito, che continua a lavorare nell’incertezza? E quando a sera mi sento esaurita e stanca, posso esprimere la mia stanchezza senza sensi di colpa accettando un aiuto o semplicemente la mia imperfezione.

Vivendo io per prima in questo modo, senza aspettarmi nulla dagli altri, si è innescato un circolo virtuoso, che io chiamo reciprocità. C’era anche prima, ed è ancora più forte oggi.

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