Non me ne abbia il WWF…

Oggi sono stanca, oggi mi hanno riempito di lavoro, oggi ne ho troppo da fare…
Quante scuse ci diciamo per rimandare quello che vorremmo (o dovremmo) fare? Che siano grandi progetti come cambiare lavoro, trasferirsi in un’altra città, cambiare stile di vita o iniziative come iscriversi in palestra (e frequentare!!!), rimettere ordine in cantina o semplicemente leggere quell libro che ci hanno regalato tanto tempo fa, a volte ci sembra che oggi non sia mai la giornata giusta.
Invece oggi è tutto ciò che abbiamo.
Riguardando per l’ennesima volta Kung Fu Panda con mia figlia, mi colpisce sempre quando il maestro Oogway dice: “C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero, mo oggi è un dono…per questo si chiama presente!”. Collegare l’oggi, l’adesso, il presente con il dono… sono andata a vedere nel dizionario etimologico, e ho trovato che “presente” è composto da due parole latine: pre- (innanzi, davanti) e sum (verbo essere), ovvero qualcosa che tis ta dinanzi agli occhi, è qui, e ti viene offerto (quindi donato).
Perchè allora ignoriamo questo dono? Perchè lunedì, domani, l’anno prossimo, quando andrò in pensione (ah ah!) sono meglio?
Ci possono essere due risposte.
La prima è la più ovvia: non è davvero una cosa importante per noi. È quasi doveroso dopo le feste natalizie dire che ci si iscriverà in palestra per smaltire, per prepararci alla prova costume, ma in fondo non ne abbiamo realmente voglia e stiamo pianificando le ferie estive in montagna. Però sentiamo una sorta di obbligo che deriva dal fatto di sentirci anche superficialmente parte di quella società che ci vuole tutti più sportivi e in forma. Allora semplicemente: smettiamo di angosciarci se non andiamo in palestra e passiamo oltre. Se fossimo realmente convinti che la palestra è una priorità troveremmo il tempo. E questo guida alla seconda risposta: se è davvero prioritario e comunque non troviamo il tempo per farlo è perchè non sappiamo come farlo.
Se ho tanta voglia di vedere come va a finire quell libro, spengo la tv e lo leggo. Semplice e lineare. Ma se si tratta di cambiare lavoro? O di trasferirsi in un’altra città (o Paese)?
Ci sembrano cose così complesse che il solo pensiero ci fa mancare il respiro, strabuzzare gli occhi, e a quel punto abbiamo già incosciamente aperto I cancelli delle scuse che facciamo entrare a frotte nella nostra mente.
Ma come dice un altro detto, dobbiamo imparare a “tagliare l’elefante a fette”. Un problema complesso lo si può affrontare suddividendolo in una serie di problemi più semplici, che messi nell’ordine giusto possono portarci dove volevamo arrivare.
Possiamo per esempio partire da queste 7 macro-categorie che ci possono aiutare a raggruppare tutti I sotto-problemi (che preferisco chiamare “fattori chiave”) che verranno fuori dalla nostra procedura di affettamento:
- Tempo (definire le scadenze e il tempo necessario da dedicare a ciascuna attività)
- Energia (livello di energia, di impegno, di “fatica” connessi all’attività da svolgere)
- Soldi/risorse materiali (investimenti, spese, strumenti da comprare…)
- Stato fisico e mentale (implicazioni emotive, ripercussioni positive o negative sulla nostra salute, conoscenze e competenze necessarie)
- Supporto sociale (abbiamo una rete di persone a supporto? Come semplice sostegno e incoraggiamento ma anche come mentori, insegnanti, rispetto a quello che vogliamo ottenere?)
- Divertimento, piacere (fattore da non sottovalutare, soprattutto se il problema richiede un impegno costante per un periodo lungo di tempo: cosa ci piace delle cose che dobbiamo affrontare? Come le mettiamo insieme ai nostri doveri?)
- Significato (ultimo ma non per importanza: qual è il significato più profondo dell’affrontare tutto questo? Quali le nostre aspettative in caso di successo, non solo dal punto di vista del mero raggiungimento dell’obiettivo, ma per la nostra felicità)
Se riusciamo a inserire tutte le parole, attività, dubbi che abbiamo in ogni categoria riusciremo intanto a fare ordine in quella marea di pensieri ed emozioni che prima temevamo ci travolgesse. Dopodichè analizziamo ciascun fattore: se ad esempio il “significato” di trasferirmi in un’altra città è fuggire da qualcosa o da qualcuno, siamo sicuri che quello sia il metodo giusto? L’allontanamento fisico è sufficiente? Ci sono alternative?
Così, senza pensarci troppo, avrete già fatto qualcosa in merito a quell problema o progetto, e l’avrete fatto oggi.