
Molti di voi, leggendo questo titolo, si saranno chiesti perchè ho usato la congiunzione “o”.
Forse avrebbe più senso usare “e”, o la preposizione “per”, giusto?
In teoria, concordo. In pratica, mi rendo conto che tante volte queste due azioni sono in contrasto: vi è mai capitato di lavorare tanto su un progetto, metterci impegno, energia, tempo… per poi ritrovarvi in un punto molto lontano dall’obiettivo del progetto stesso. Non sto parlando solo dell’ambito professionale, ma anche di obiettivi personali, come ad esempio scrivere un romanzo, perdere alcuni chili di troppo, allenarsi per una maratona…
Come mai?
Sulla base della mia esperienza questo accade per due motivi:
- Diamo poco spazio al pensiero, preferendo passare subito all’azione;
- Seguiamo consigli, percorsi, metodi che probabilmente sono stati validi per altri prima di noi, ma non vanno bene per noi.
Riguardo il primo punto, mi viene subito in mente l’ambito professionale. Tante volte mi è capitato di imbarcarmi in progetti senza che ci fosse stato il dovuto tempo per pianificare, analizzare, insomma “pensare”… Una volta, un docente a un corso di Time Management ci disse: “ma voi lo sapete che la vostra azienda vi paga per pensare?”; sul momento ci venne da ridere, gli rispondemmo cose del tipo “ci pagano per portare risultati” oppure “non siamo mica all’università” e via dicendo.
Oggi, però mi rendo conto che sempre più le aziende hanno bisogno di teste pensanti, che sappiano guardare con occhio critico a ciò che stanno facendo, siano essi lavoratori in produzione o in ufficio, e sappiano prendersene la responsabilità. Credo fermamente che la “accountability” sia una delle sfide del nostro tempo (lo scrivo in inglese perchè in italiano non c’è una parola a parte “responsabilità” che possa descrivere la responsabilità di ciò che si pensa, produce, fa). Per creare accountability c’è bisogno di prendersi tempo per pensare, analizzare.
Anni fa, in un’azienda di produzione, iniziarono a coinvolgere tutte le persone di produzione per creare una cultura nuova della sicurezza, visto che l’incidenza degli infortuni (anche se non gravi) stava aumentando. Quello che emrse in maniera chiara non era che mancassero le protezioni, le norme di comportamento, i dispositivi di protezione individuale, ma mancava l’attenzione delle persone verso quei comportamenti “leciti” che tuttavia potevano rappresentare un pericolo per la salute e la sicurezza degli altri. Esempio banale: il modo di impilare gli scatoloni di prodotto. Non c’entrava direttamente con la sicurezza, ma farlo in modo diverso poteva aiutare ad evitarne il rovesciamento in caso di urto o che qualcuno ci inciampasse sopra, quando le pile erano basse. Il tasso di infortuni si abbassò drasticamente e le persone si sentirono tutte ugualmente responsabili della sicurezza sul lavoro: non era più solo un affare del Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione dell’azienda.
Vi faccio un altro esempio, più quotidiano: la spesa settimanale. In questo periodo di quarantena, per cercare di uscire il meno possibile, in famiglia abbiamo rafforzato l’abitudine di andare a fare la spesa solo una volta a settimana, a volte anche una volta ogni 10 giorni. Già prima, per ragioni di tempo, lo facevamo, ma poi capitava che rientrando dall’ufficio si passase a prendere “al volo” un po’ di pane, della frutta, un cartone di latte… Ora, si può procedere con un minimo di preparazione (esco e vado, magari se riesco prendo i sacchetti che ho già a casa), con il rischio poi di arrivare a casa e rendersi conto puntualmente che ci siamo scordati qualcosa. Allora la seconda volta ci facciamo una lista della spesa guardando ciò che ci manca in casa o sta per finire, e soddisfatti arriviamo a tre giorni dopo con nel frigo degli ingredienti che non sappiamo come mettere insieme per una ricetta soddisfacente (della serie: come combino un porro, una scatola di mais e della farina?). “Pensare” alla spesa per me vuol dire questo: quali sono i miei obiettivi? 1) andare a fare la spesa il meno possibile; 2) cucinare pasti decenti per tutta la famiglia; 3) evitare gli sprechi alimentari.
La soluzione che ho trovato è fare la lista della spesa avendo già un menù settimanale; quello che invece riguarda la cura della persona e della casa viene riacquistato quando inizio l’ultima confezione disposnibile in casa. È vero, richiede tempo prima – che sughi preparare, quando fare un piatto e quando un altro, i gusti di tutti i membri della famiglia… – ma poi rende l’esecuzione molto più semplice dopo. Inoltre fare questo per me è anche un atto di “accountability” verso gli altri e verso il pianeta, cercando di rispettare il più possibile le norme anti-contagio e di ridurre gli sprechi alimentari.
Il senso doi responsabilità indirizza il mio agire, per cui riesco a trovare il tempo e il modo di preparare attentamente tutto ciò che servirà per l’esecuzione della spesa settimanale.
Pensate alla potenza di riuscire a fare questo in ogni ambito della vita! Come ha scritto Simon Sinek nel suo celeberrimo libro “Start with Why”, parti dal perchè fai le cose: da lì ne deriverà accountability, pensiero, motivazione… e l’esecuzione sarà molto più efficace.
Secondo fattore che può impedirci di arrivare al risultato: seguire modelli senza farli propri. Non dico che ogni giorno dobbiamo reinventare la ruota, ma spesso cerchiamo di attenerci a istruzioni, processi, modelli, consigli senza davvero ragionare sul come NOI possiamo metterli in atto, sulle nostre capacità, competenze, talenti. Il focus a quel punto diventa l’azione, più che il risultato, trovandoci quindi alla fine a non averlo raggiunto o a non sentirci completamente soddisfatti di ciò che abbiamo compiuto.
Un esempio lampante sono i vari processi di “Performance Management” che io come HR facilitavo (o costruivo). Anche il processo meglio strutturato, con il software più all’avanguardia, con le policy più innovative, lasciava un senso di pesantezza e di inutilità nel manager e nel collaboratore se il tutto si riduceva a tirare una riga nella “to do list” del manager. Altra cosa quando il manager usava quell’occasione per rafforzare con un feedback strutturato la sua relazione con il collaboratore.
Lo stesso vale quando (finalmente) ci iscriviamo in palestra e usiamo tutti gli attrezzi disponibili senza indirizzare i nostri sforzi verso l’obiettivo che vogliamo raggiungere…e gli esempi potrebbero essere molteplici.
Questo è stato il motivo principale che mi ha spinto a studiare per aiutare le persone attraverso il coaching, perchè è un modo di arrivare al risultato che si basa su tre pilastri: consapevolezza (pensiero), accountability e azione individuale.
Anche se quel che si vede e si tocca è il risultato dell’azione, non consideriamo il “pensare” come un ornamento, un inglese “nice to have”.
E per dirla con le parole di Albert Einstein:
“I problemi significativi che affrontiamo non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero con cui li abbiamo generati. Ci si deve elevare al livello successivo.”